domenica 18 marzo 2012

Sembianze Umane.





Era tempo che l’aveva adocchiata.
Ronzandole intorno freneticamente.
Si era innamorato.
E amava di lei tutto.
Provando anche cocenti passioni …..
L’aveva seguita nei suoi viaggi.
Di nascosto a volte.
Era un timido.
Quanto un sentimentale e passionale vero.
Intrappolato dentro tutta quella sua timidezza.

La prima cosa che lo aveva colpito di lei, erano le sue labbra.
Quello superiore.
Così ben disegnato.
E quello inferiore, allungato e ripiegato con grazia a forma di doccia.
A raccogliere quelle meraviglie.
Quei sei stiletti lunghi e acuminati.
Brillanti come lame sotto i raggi del sole.
Era giovane e matura.
Ancora fresca e integra.
Nella sua verginità.

Quando la osservava le passioni lo rapivano.
A volte fino a fermarsi.
A doversi appoggiare .
I suoi organi sensoriali erano assi più sviluppati.
I suoi in particolare.
E lo sfinimento a volte era così pronunciato da impedirgli anche il nutrimento.
L’assunzione di quei liquidi zuccherini necessari oltre che a sopravvivere, a compensare quel grande dispendio di energie passionali.
Quello zucchero indispensabile.
E , nel suo stato d’animo, ancora di più.

Le lunghe gambe affusolate.
Quel suo addome così filante e snello.
Quei dieci segmenti così ben delineati.
Quelle protrusioni soffici e velate.
Avrebbe desiderato appartenere ai suoi palpi.
Avrebbe desiderato brindare con lei con quel rosso rubino.
Che lei amava così tanto.
La sua vita.
Il suo zucchero necessario.
Che esplosione di fantasie contemplarla nel suo degustare quel rosso rubino.

Lui sapeva la verità.
Sapeva che non avrebbe mai potuto essere l’unico della vita.
Ma quanto desiderio per essere il primo, l’unico possibile per una nuova stirpe.
Non per la stirpe in se ma per la passione che gli bruciava dentro.
Puoi essere timido, riservato ma si sa, ad un certo punto la passione esplode.
E fai cose che non avresti mai pensato di esserne capace.
Gli ronzò intorno per un po', una sera.
E alla fine si propose, diretto, schietto freddo come il cuore che non aveva.
Ma affamato in proporzione al suo apparato digerente.
Alle insistenti pulsioni delle estremità dei suoi tubi malpighiani e della sua spermateca.

Purtroppo come in un racconto  di Shakespeare lei si ritrasse.
Nel tipico atteggiamento di difesa femminile, restituendo un “no”, secco, almeno al suo sistema percettivo.
Povero essere disperato e affranto , bastava conoscere le femmine.
Solo un poco di più di quanto la sua timidezza non gli avesse mai concesso.
Pazienza, autostima, un minimo di egocentrismo e ……… le femmine parlano al contrario, molte di loro lo fanno.
Per autodifesa, per loro natura, bastava aspettare, saper pazientare solo un po'.
Povero essere disperato e destrutturato, con l’addome colmo di tossine, di sofferenza.
Più rosso del rosso rubino del quale lei si nutriva.
Più deluso e disperato di un Romeo.
Più ferito che se fosse stato trafitto da cento stiletti, fuggì.

Fuggì senza meta, senza alcuna destinazione.
Con dentro solo quel dolore lancinante, insopportabile.
Le ombre della sera, le luci della notte, quel buio dentro.
Insopportabile, come un verme che ti mangia da dentro.
Come un acido corrosivo.
Senza antidoto.
Nella confusione di essere corroso da quel dolore, senza più aver controllo di dove e come.
Finì per sbaglio in un locale.
Fumoso e tetro, tavoli disordinati, pavimenti lerci.
E in tutto quel brutto, quel dolore percepì solo un profumo, …… rassicurante, …….. nuovo e antico insieme.

Lei, dopo poco, comprese e comprese non un errore, ma il suo animo, la sua debolezza.
E cominciò a cercarlo, disperata anche lei, non alla ricerca di rosso rubino.
Ma del primo amore perduto e disperato.
Lui, seguiva, ormai solo quel profumo di essenza zuccherine, confuso e frastornato.
E trovò un appoggio, con dentro la medicina, il rimedio.
Una bottiglia di spirito forte, con il collo aperto, lercio ma trasudato di quel liquido speciale.
Iniziò a lambirlo con una certa ripugnanza ma lo lambì.
Più quel liquido percorreva le sue interiora e più il dolore si sopiva, addormentando anche i suoi pensieri.
Non riusciva più a smettere, e la tristezza era divenuta una sorta di strana, confusa euforia.
Lei intanto, morsa dal senso di colpa, girando e girando alfine lo trovò, attaccato a quella propaggine cilindrica e lercia della bottiglia.

Non fece in tempo.
Come in un racconto di Shakespeare, era lì ormai vicina, ma il tempo non fu dalla loro.
Il tempo per vedere solo una rozza mano pelosa acchiappare la bottiglia e versarne il contenuto in un minuscolo bicchiere.
Il tempo di vedere che ormai quasi privo si sensi cadeva anche il suo lui dentro quel minuscolo bicchiere.
L’astante non tardò.
Aveva lo stesso problema.
Cercava consolazione anche lui, per lo stesso motivo, per la stessa sfortunata condizione.
Il tempo vide lei vedere solo il suo lui tracannato dentro la gola di un altro lui.
Con lo stesso dolore, con uguale disperazione.
Da sopire, dimenticare, medicare.

Non preoccupatevi, è solo la sfortunata storia d’amore di due moleste zanzare.
Con sembianze umane......

FranzK.

P.S. liberamente tratto e interpretato da:

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