mercoledì 7 aprile 2010

Vino di Vite.




 [http://www.youtube.com/watch?v=JS-8wQIf61s&feature=related]


Procedo per casualità nella gastronomia.
Non posso farne a meno.
A volte da cosa nasce cosa.
E credo nel destino in modo sufficiente.
Non per affidargli la scelta magari, ma almeno l’incontro.
La proposizione.
Lo stimolo.
E così dopo un giorno lungo un mese ci siamo ritrovati a cena.
In una fantastica trattoria sull’Appennino tosco emiliano.
I quattro cavalieri dell’apocalisse.
Con le nostre ferite.
Con le ossa rotte.
Dopo una bellissima quanto dura giornata di 20 ore.
Dopo aver corso per mezza penisola a risolvere problemi, a generare futuro.
Avevamo necessità di cibo.
Desiderio di cibo.
Che poi è vita.
Vita di cui siamo costituiti.
Cibo di cui siamo costituiti.
Siamo fatti di cibo.
In un certo qual modo.
La sacerdotessa ha ragione.
Su certe sentenze.
E il condottiero ha compiuto la giusta scelta.
Nonostante più di trenta chilometri di tornanti aggiuntivi.
Forse il miglior luogo dove si cucina la vita.
Nel migliore dei modi.

Sarebbe stato sufficiente.
Oltremodo esoso forse quello che c’era senza sorprese aggiuntive.
Ma oltre la sorpresa il destino ci ha regalato lo stupore.
Forse per farsi perdonare tutti quei tornati.
La dotta quanto semplice consigliera ha quasi scelto per noi.
Non poteva che essere particolare anche lei in un luogo di quel tipo.
Forse sapeva leggere le necessità dagli sguardi , forse le percepiva.
Perché sono convinto che in luogo dove si vende cibo è chi lo vende che deve consigliarti il tuo bene.
È lui che deve sceglierlo per te.
È quella la parte difficile.
Decidere cosa è il tuo bene.
Ed è chi lo produce l’unico che può sapere.
Credo che sia questo il modo in cui dovrebbero funzionare i ristoranti.

Così per innaffiare tutta quella semplice splendida vita ha quasi imposto un certo vino ….
Una Barbera.
Ma dai, una Barbera …..
La dotta consigliera ha sorriso e ha solo dato l’ordine di servirla.
E non si potrà mai più berla.
Finito.
Terminato.
Come chi l’ha fatta, sognandola, a giudicare dai gusti che emanava.
Dalle emozioni e beneficio che ci ha regalato.
Chi l’ha fatta non c’è più proprio come lei.
E forse, rendendosi conto del grave perenne mancante, ha voluto lasciare il ricordo scrivendo sulla targhetta posteriore della bottiglia parole che provassero a renderla viva per sempre.
Indimenticabile.
Eccole, in condivisione,  come se potessimo bere da esse il frutto di certi contenuti.
Ci certe uve.
Di certe vite.
Di certi gusti opposti a quelli dei calamari in salmì …..

Nel 1983 chiesi al giornalista Sheldon Wasserman di non pubblicare il punteggio dei miei vini.
Così fece, ma non solo, sul libro “Italian Noble Wines” scrisse che chiedevo di non far parte di classifiche ove il confronto, dagli ignavi reso dogma, è disaggregante termine numerico e non condivisa umana fatica.
Non ho cambiato idea, interesso una ristretta fascia di amici-clienti, sono una piccola azienda agricola da 20mila bottiglie l’anno, credo nella libera informazione, positiva o negativa essa sia.
Penso alle mie colline come una plaga anarchica, senza inquisitori e opposte fazioni, interiormente ricca se stimolata da severi e attenti critici; lotto per un collettivo in grado d’esprimere ancor oggi solidarietà contadina a chi, da Madre natura, non è stato premiato.
È un sogno?
Permettetemelo.
Teobaldo


Vino di Vite.
In tutti i sensi.

Franz.K

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