venerdì 26 febbraio 2010

Occhiali da notte.




 [http://www.youtube.com/watch?v=MTQfNj9xYXE&feature=related]

Era tempo che avevamo programmato quel viaggio.
Un viaggio che non volevo sapere di fare.
Saremmo finiti in terre sconsolate, almeno per me.
Almeno secondo me.

Poi però tutto era  cambiato.
Anche per il pilota della navicella.
Un uomo davvero particolare.
Con lo strano vizio di guidare veicoli spazio-temporali.
Senza mai farsi male.
Tanto da riuscire ad andare piano, e tornare sempre presto.
Uno dei pochi, se non l’unico a riuscirci.
Era cambiato tutto da un po' di tempo.
Avevamo contratto tutte e due una tremenda malattia.
Tanto che tempo prima, in una parabolica verso sinistra, vicino alle stelle di sopra, mi aveva fatto venire le vertigini.
Offrendomi un semplice cucchiaino per la salvezza.
Solo il pensarmi completamente contenuto in esso mi fece trasalire.
Ma non mi guarì.
Sfortunatamente.

Anche lui però non se la passava un granché bene con tutti quegli acciacchi addosso.
Era messo solo un po' meglio di me.
Anche se però gli toccava guidare di continuo quella macchina infernale.
Un dispendio energetico che compensava ampiamente i peggiori sintomi della mia più profonda infezione.

Una notte mi portò addirittura sul dirupo di una vecchia cattedrale di monaci tibetani.
Mentre le particelle magnetiche non facevano che rimbalzare anche dove non c’erano sponde elastiche.
Una salita a piedi davvero faticosa.
Su per quella strada senza sponde né elastiche ne rigide.

Anche in quel modo, attraverso quel disperato tentativo non siamo riusciti a guarire.
Non ci restava che quel perfido, pericolosissimo viaggio.
Avremmo potuto farci male davvero.
Peggiorare le cose e chissà cos’altro ancora.

Così il pilota di astronavi a levitazione sonica  mi consigliò una strategia particolare.
Tentare con i numeri dispari.
E tentare senza tentennare soprattutto.
Giuro che ci provai, così deciso da tintinnare quasi, ma il destino, ancora una volta, non fu dalla mia parte.

Così l’imbarco sulla navicella fu tra i più febbricitanti, tremuli e solitari.
Per tutti e due.
Per lui che doveva guidare, in tutti i sensi, i flussi energetici disordinati.
Per me che intravedevo ore e ore di paura e di tensione.

Ecco, a volte bisognerebbe imparare ad avere più fiducia degli altri.
Almeno di qualcuno di loro.
Di quelli di cui non aver fiducia, si fa peccato.
Di quelli che sanno andare piano, e tornare presto.

Avevo il migliore se non l’unico al mio fianco.
A pilotare le contrazioni neurali e le danze arcaiche.
E io a tentare di guarirmi e di guarirlo.
Riuscendo forse solo a ferirlo con le lacrime.

La notte prima del ritorno era talmente affranto che il pilota decise di dormire sulla porta del bagno.
Sradicandola ovviamente dai suoi cardini.
Meglio il duro di un piano in equilibrio che la nausea di quel materasso privo di direzione.
Ma le lacrime ammorbidirono il legno e almeno  riposò serenamente.

Eravamo ormai prossimi ai piani inclinati delle terre d’ocra, verso il ritorno quando fece la sua parte.
Difficile credere che si possa trovare birra nell’iperspazio vero?
Eppure non ci crederete ma è più semplice di quanto possiate immaginare.
Così provò ad incastrarmi con un semplice boccale di quel liquido.

Cominciai a parlare una lingua sconosciuta.
Mentre lui si trasformava in una guardia del corpo.
Voleva anche lui provare a guarirmi.
Anche se nonostante la sua bravura, e lo stupore dei testimoni, non ci riuscì.

Le lacrime erano solo mie ormai.
Lacrime che sembrava non volessero finire mai.
E che in realtà non finirono mai.
Anche se il pilota, che era un grand’uomo, ebbe un idea geniale.

Con un codice segreto fece scattare la serratura di un particolare ripostiglio segreto della navicella.
Da dove tolse delicatamente un paio di occhiali scuri.
Metti questi,  mi disse,  e vedrai che riuscirai almeno a sopravvivere se non a guarire.
Come se a lui poi non servissero per la stessa ragione.

Ritornammo a bere un altro boccale di birra.
Con gli occhiali addosso, tutto mi sembrò molto differente.
Anche se lui continuò, per sicurezza, a fingersi una guardia del corpo.
E a rischiare, senza quelle lenti, la sua incolumità.

Da allora li uso molte volte.
Quando sono avvolto da troppo buio.
Mi rischiarano le idee.
E diventa tutto molto chiaro e luminoso.

Con su gli occhiali da notte.

Franz.K

Nessun commento:

Posta un commento