sabato 9 gennaio 2010

Gli imprevisti della Metafisica.



Capitò in quel luogo quasi per caso.
Lo condusse un amico per un motivo qualunque.
Il locale era un luogo caldo e familiare, semplice e raccolto.
Con ottimi boccali di liquidi vasodilatatori.
E buona musica a volte.
L’ambiente giusto per un attimo di rilassamento e quattro chiacchiere tra amici.
La incontrò la prima sera dentro una nuvola di polvere d’oro e appiccicosa melassa di resina d’abete.
Non riusciva quasi mai a liberarsi completamente delle conseguenze dei suoi continui esperimenti.
Mary lavorava in quel luogo come cameriera.
Era una figura femminile di nobile e distinta bellezza esteriore.
Anche i suoi movimenti, oltre la figura, erano garbati e armoniosi.
Cosa particolare ed inconsueta per il tipo di impiego.
Insomma un “phisique du role” e movenze più da pianista, o magari da fata buona di una favola per bambini, più che da cameriera di un locale alcoolico.

La prima volta che la vide era intenta a pulire qualcosa, dietro gli spillatori.
Al tintinnio della campanella appesa alla porta di ingresso, lei sbucò fuori facendo capolino da quel groviglio di tubi d’ottone, con il suo bel sorriso ed i suoi grandi occhi scuri.
Si asciugò le mani in uno strofinaccio, mai abbandonata da un misurato sorriso,  salutò e si fece incontro in segno di accoglienza.
L’uomo rimase molto colpito.
Tornava da esperienze piuttosto sconvolgenti e la “naturale morbidezza” di Mary fu per lui un toccasana di tranquillità.

Tanto che Tempo dopo tornò in quel luogo, per riassaporare un poco di quella sintonizzata, zuccherina calma.
Attraversando la volta di ingresso, si ritrovò, stavolta, simpaticamente avvolto in una nuvola di borotalco profumato.
Uno scherzo di Mary che riconobbe comunque come simpatico e rilassante.
Lei  arrivò, al solito, con tutta la sua grazia e  con quell’unico tremendo vizio della grafite e della cellulosa.
Forse una delle sue poche convinte abitudini davvero insopportabile.
Amava veder giocare gli avventori, con gli effetti stereoscopici della corrente elettrica.

Nessuno d'altronde è perfetto.

Anche il vecchio uomo aveva gravi difetti, oltre alla sua naturale predisposizione alla soluzione dei labirinti.
Sapeva sintonizzarsi con le pulsioni degli umani, e, questo, lo rendeva loro assolutamente inaccessibile.
Penetrare la sfera degli intimi pensieri, quelli addirittura in via di formazione nell’inconscio,  lo aveva anche reso inadattabile ad un sereno convissuto insieme a loro.
La sua presenza era davvero troppo sensibile e sentita tanto da renderla, in una parola, sconveniente.
Anche nel silenzio.

Mary lo costrinse ad una grave difficoltà la terza volta che si recò in quel luogo in cerca di po' di pace.
Probabilmente lei non subiva con antipatia la scansione del veggente, e oltre a non temerlo ne provava curiosità.
In tal modo lo obbligò, senza volerlo,  ad un incidente che pur non producendo particolari ferite, stabilì un contatto.
Che stranamente si consumò anch’esso nella serenità di qualche simpatica battuta e sincero e pulito sorriso.
A Marcopolis, succedeva spesso avendo lei molti spasimanti.
Ma il vecchio solutore di labirinti non aveva nessuna intenzione di divenire uno di loro.

Così recitò ad alta voce le tre formule magiche del cancella-pensieri:

Tempo.
Tanto Tempo.
Troppo Tempo.

Riconoscendo subito, attraverso le onde quadre fuoriuscite dai lobi frontali di lei, la buona riuscita del magico effetto.

Appena, fuori, si avvolse nel lungo mantello nero e schiacciò forte il cappello sul cranio per proteggersi dal freddo umido e insopportabile della notte.
Poco più in là un pittore, stranamente ancora sveglio ed intento ai giochi di colore dietro una vecchia tela, appoggiata al cavalletto in mezzo alla piazza, alzò la mano in segno di saluto.
Lui gli sorrise e per un istante gli parve di riconoscerlo.

Che fosse stato proprio Reneè ….?

Franz.K

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