venerdì 29 gennaio 2010

La rondine albina.




 [http://www.youtube.com/watch?v=Ekw27WVtdcc&feature=related]

Che bella e luminosa la piazza del vecchio borgo medioevale.
La piazza.
Il luogo della sfida e della festa di un tempo.
Dell’incontro e del passaggio.
Crocevia e ristoro.
L’unico luogo largo, in mezzo a tutto quel groviglio di stretti abbracci di case e piccoli vicoli.
La piazza.

Sono uscito sul tardi quella sera di agosto.
Sono uscito appena era possibile respirare,  in un piccola sosta d’afa.
Un caldo mortale quel giorno, ma pieno di positiva vita, almeno per me.
Sono sceso verso la piazza, dove sembrava almeno spirare un po' d’aria corrente.
Era l’ora vicina alla cena e non c’era molta gente.
Era calma la piazza e anche l’afa forse, per un po'.

Tutto intorno dove ti potevi girare, in quella specie di largo ovale circondato da muri antichi, potevi sentire squillare il garrire delle rondini.
Dall’infinità di nidi di fango e paglia grigiastri, appesi sotto gli ultimi coppi dei tetti.
Cantavano e volavano, tanto da farti credere di essere ad uno spettacolo di teatro perfettamente organizzato.
Spiccavano via in virtuose volanti capovolte per tornare con qualcosa da mangiare per i piccoli.
Che spettacolo.

Ma quella sera mi è sembrato di percepire qualcosa di appena differente.
In mezzo ai melodiosi canti, qualche nota stridula e stonata non poteva sfuggire alla mia sensibilità di attento ascoltatore.
Qualcosa non andava e dovevo cercare cosa.
Sbottonai completamente la camicia di lino per cercare un po' di frescura sulla pelle sudata del corpo, e cominciai il mio girotondo.
Tutto intorno alla piazza a testa in sù, nella scrupolosa ricerca della nota stonata.

Ad un tratto qualcosa di bizzarro comparve appena sopra l’inferriata di una finestra, in mezzo ad un nugolo di rondini apparentemente festanti.
Un grosso nugolo talmente agitato e confuso da superare la festosità.
Si sa dei loro rapidi movimenti, ma quelli in cui si esibivano in quel luogo, erano stranamente poco aggraziati.
Tra di loro, in mezzo a quello spiumare vorticoso,  compariva e scompariva  una macchia bianchissima.
Non potevano essere festanti le rondini, lo si avvertiva dalla tensione che producevano sulle sinapsi.
Erano arrabbiate e urlanti.

Passava da quelle parte il più anziano abitante del luogo anch’esso alla ricerca di un po' di frescura.
Si avvicinò, assicurandosi al solito, che fossi il tal dei tali, figlio del tal’altro....
Era tutto vecchio e curvo e faticai molto a fargli alzare lo sguardo verso la battaglia in corso.
Intanto lassù le cose si erano assai bene delineate.
Una rondine albina era attaccata da tutti i capi delle vari tribù dei sottotetti.
L’intenzione era fin troppo evidente: era necessario sopprimerla.

Il vecchio, nel frattempo, si era emozionato tanto da cercare di scansare, con inutili vorticosi gesti delle mani, le rondini assassine.
Avrebbe voluto salvarla, almeno quanto me.
Non riuscivamo a comprendere perché loro volevano ucciderla.
Era così bella.
Una cosa mai vista a memoria d’uomo, quindi anche per la sua di vecchio più vecchio.
Il candore del suo bianco immacolato era tale da farla apparire fatta di altro materiale, più morbido e splendente.

Noi pensiamo che gli animali abbiano un istinto di cancellazione della deformità per proteggere la razza.
Per non sporcarla.
Chissà se è vero.
Se è vero che temono le difformità dico, la mescolanza, il cambiamento.
Ovviamente si crede di sapere, tanto da essere certi, quanto  temono la debolezza.
Dell’albino temono  il debole della sua resistenza agli ultravioletti e per conservazione “solare”, lo sopprimono.

Il peregrinare di quel bianco batuffolo da un nido all’altro per cercare salvezza era uno spettacolo disperato.
Almeno per noi, osservatori di un altro mondo.
Sfuggiva e sfuggiva senza respiro, rincorsa da una assatanata nuvola grigia in una sorta di duello senza regola ne pari condizione.
Che non fosse la sua più rapida morte.
Come se dovesse addirittura essere censurata alla vista dei piccoli affacciati ai nidi.

Ma quella sera era una sera speciale.
Ormai maculata di schizzi rossi di sangue dovuti a tutte le beccate ricevute, si fermò appena sopra le nostre teste e allargò le ali in un volo stabilizzato, come ad aspettare, in un abbraccio, il suo fatale destino.
La campana del tozzo campanile del borgo suonò a morto.
E da lontano l’orda assatanata ad un tratto rallentò …. quasi a fermarsi …..per poi disperdersi.
E  anche la candida creatura finì per smettere di agitarsi.
Riprese fiato con calma, e all'improvviso volò via, forse finalmente convinta che la libertà della solitudine sarebbe stata vita quantomeno.

Molto differente dalla certa morte che aveva trovato nel tentare di far accettare la sua diversità.

La campana rintoccò ancora a morto il caldo dell’aria della piazza.
Era morto un uomo speciale.
Un uomo davvero onesto.
Il vecchio puntò il dito in alto e guardandomi, bisbigliò: ”vedi che se ne stanno andando via insieme?”.
“Si lo vedo, lo vedo ……” risposi per accontentarlo.

Poi la campana suonò il terzo e ultimo rintocco e con esso sussurrò la verità:
“L’uomo onesto l’ha voluta con se come suo ultimo desiderio”.
Al che, anche la piazza parlò:

“Due nature troppo difformi  per me”.
  
Franz.K

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